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Felice Accame
Coordinatore Centro Studi e Ricerche F.I.G.C.
Docente di Tecnica della Comunicazione Corsi Centrali
per abilitazione ad Allenatore Professionista di Prima Categoria
Scuola Allenatori Settore Tecnico di Firenze -Coverciano
Aspetti predittivi e preventivi nel governo dell’evento di transizione
Ancora recentemente, osservando una partita del nostro massimo campionato di
calcio, mi è capitato di dover imputare all’allenatore la responsabilità
“diretta” di un gol subìto. La sua squadra era in possesso di palla – un
possesso che si stava protraendo da un alto numero di passaggi consecutivi – ed
operava in fase di attacco – negli ultimi trentacinque metri di campo. I
giocatori che si erano mossi o che si stavano ancora muovendo in rapporto al
movimento della palla erano otto; due difensori, in posizione centrale – uno
sulla linea di centrocampo, l’altro leggermente più avanzato – controllavano un
solo attaccante avversario, posizionato nella propria metà del campo in una
spazio intermedio tra i due. Il portiere stazionava sulla linea dell’area. Nel
momento in cui la squadra in possesso di palla ha provato uno sfondamento
centrale – un uno-due in uno spazio ormai intasatissimo -, il centrocampista
centrale difendente è entrato in possesso di palla, ha alzato la testa ed ha
giocato una palla lunga alle spalle dell’ultimo difensore avversario.
L’attaccante è sgusciato tra i due, e, approfittando della tardiva decisione del
portiere (prima un paio di passi indietro, poi una disperata corsa in avanti),
ha condotto palla in rete in tre tocchi. Un gol semplice e fin banale.
Figura 1: la squadra in attacco tenta uno sfondamento centrale |
Figura 2: una volta riconquistata la palla il centrocampista centrale verticalizza sulla punta, involatasi a rete, favorita da un’errata disposizione dei difensori avversari e dall’indecisione del portiere |
Perché ne addosso la responsabilità all’allenatore della squadra che l’ha subito
?
Perché, nei momenti precedenti alla perdita del possesso di palla, stava
seguendo l’azione offensiva e stava dando istruzioni ai giocatori che vi erano
impegnati. Avrebbe dovuto interpretare il proprio ruolo utilizzando meglio il
tempo che aveva a disposizione, per esempio, constatando che nessun giocatore
avversario si trovava nella metà campo della sua squadra e invitando almeno uno
dei due difensori non impegnati nell’azione offensiva ad arretrare di una decina
di metri, in modo da mantenere un vantaggio sicuro in caso di rapido
ribaltamento del fronte d’attacco. Al contempo, avrebbe potuto invitare il
portiere a guadagnare qualche metro in posizione centrale.
L’allenatore non è un tifoso qualsiasi. Non è in panchina per divertirsi ad uno
spettacolo, ma è lì per lavorare. Dare istruzioni a chi è in possesso di palla
non è affatto utile – perché il giocatore, già in difficoltà per la situazione
in cui si trova, viene subissato di comunicazioni; se, d’altronde, il giocatore
è in campo, si presume che ci sia perché è già stato istruito dall’allenatore
sul da farsi in certe situazioni e, infine, per verificare come i propri
giocatori avevano sfruttato la situazione offensiva, l’allenatore, più tardi
avrà a disposizione la televisione. Tutto, insomma, consiglierebbe
all’allenatore di guardare altrove, nel punto più delicato del campo,
predisponendo la propria squadra alla difficile – e quasi sempre inevitabile –
situazione che deriverà dalla perdita del possesso di palla.
Più volte, gli analisti della partita di calcio hanno messo sull’avviso circa la
delicatezza del momento di transizione – perché molti gol sono conseguenza
diretta di una cattiva gestione di questo momento -, ma non sempre, a mio
avviso, l’argomento è stato approfondito come meriterebbe. In questa sede, mi
limiterò ad alcune considerazioni di ordine didattico sia dal punto di vista
della squadra difendente che da quello della squadra attaccante.
La prima necessita di una premessa sulla classificazione dei calciatori. Come ho
spiegato anni or sono nel mio libro sulla metodologia e sulla didattica del
gioco a zona (cfr. F. Accame, La zona nel calcio, Società Stampa Sportiva, Roma
1983), in ogni momento di una partita di calcio abbiamo a che fare con due
tipologie di giocatori: gli ottimistico-orientati, ovvero coloro che, in caso di
possesso di palla da parte di un compagno, si muovono in rapporto al
mantenimento di questo possesso (in appoggio-sostegno, per esempio, o dettando
un passaggio) e i pessimistico-orientati, ovvero coloro che, nello stesso caso,
si muovono in rapporto all’eventualità che il possesso di palla venga meno.
Questa è una classificazione ideale. In realtà, in una partita di calcio,
purtroppo, abbiamo spesso a che fare con una terza tipologia di giocatori,
ovvero con quelli che né sono ottimistico-orientati né sono
pessimistico-orientati, risultando, in quel particolare momento, un costo
nell’economia complessiva della squadra. “Rovina-famiglie”, pensano ai fatti
propri o, più banalmente, si trovano in posizione tale da non costituire alcun
utile per la squadra. Nell’esempio iniziale, infatti, degli otto giocatori
impegnati nell’azione offensiva, quelli effettivamente posizionati ai fini del
mantenimento della palla o della conclusione a rete resa eventualmente possibile
nell’immediato prosieguo erano quattro o cinque al massimo – i rimanenti o
duplicavano la presenza in spazi già occupati o indugiavano nel riprendere una
posizione pessimistico-orientata ritenendolo, evidentemente, non urgente.
Va da sé che l’abilità di un allenatore consista nell’eliminare questi ultimi e
nel saper mantenere equilibrato il rapporto tra le prime due tipologie,
scaglionando nelle zone del campo i pessimistico-orientati in modo da prevenire
uno sviluppo rapido di un’azione offensiva della squadra avversaria. Il numero
dei giocatori ottimistico-orientati diminuisce man mano che l’azione si sviluppa
nella zona terminale del campo: troppi attaccanti intasano gli spazi e troppe
alternative per il portatore di palla possono complicare la rifinitura
dell’azione e addirittura ostacolare la conclusione in porta. E’ importante,
invece, che il portatore di palla abbia molte alternative a sua disposizione
nella fase di impostazione del gioco. Da tutto ciò consegue che, nella fase
offensiva, l’allenatore potrà disporre di un buon numero di giocatori da
orientare pessimisticamente in almeno due modi – o dislocandoli nelle zone in
cui è più probabile possa verificarsi la transizione o dislocandoli in zone più
lontane, di “massima sicurezza”, presidiando dunque le vie di scorrimento verso
la propria porta in anticipo sull’eventuale transizione (magari raddoppiando con
una marcatura stretta – per salvaguardare la possibilità di anticipo - ed una
più lasca – per salvaguardare l’intervento in seconda battuta in caso di
anticipo fallito - sugli attaccanti avversari, che, comunque, costituiscono i
primi terminali di ogni momento di transizione).
La seconda considerazione è un corollario della precedente. Ogni situazione di
gioco può essere valutata in rapporto ad un tasso di prevedibilità della perdita
di palla. Fermo restando che questo dato dipende direttamente dallo stile
difensivo (pressing nella prima fase di costruzione dell’azione, pressing nella
zona centrale, pressing sulle fasce laterali, pressing con fuorigioco o senza,
arretramento fino ai 35-40 metri innanzi all’area di rigore, etc.), nonché dalle
caratteristiche tecnico-tattiche del giocatore in possesso di palla, è
consapevolezza diffusa che in ogni partita si creino zone del campo in cui è più
probabile che la squadra attaccante perda il possesso della palla. Il che non è
detto che accada soltanto in ragione di un intervento diretto del difendente:
può darsi il caso – e di fatto si dà spesso – che lo stile difensivo induca la
squadra attaccante in possesso di palla a liberarsi della palla una volta giunta
in certe zone del campo – è quel che accade, per esempio, laddove una supremazia
difensiva sulle fasce laterali all’altezza della trequarti campo induce al
traversone alto verso l’area di rigore.
Figura 3: il portatore di palla della squadra in attacco (gialli), una volta “imbottigliato” nel corridoio esterno dove vi è una chiara superiorità numerica dei difendenti, si libera della palla effettuando un cross al centro, non avendo altre opzioni di passaggio. |
E’ da questo processo di valutazione che l’allenatore sceglierà le mosse più
opportune per mantenere l’equilibrio tra giocatori ottimistico e pessimistico
orientati ed è soprattutto, nel tener sotto controllo questi momenti che potrà
mostrare tutta la sua sagacia predittiva.
La terza considerazione verte sulla disposizione pre-offensiva in attesa del
momento di transizione. Da allenatori molto attenti all’organizzazione della
fase difensiva, si sente spesso affermare, per esempio, che la loro squadra
difende con 9 giocatori dietro la linea della palla. Ovviamente, si tratta di un
modo di dire – più la dichiarazione di un auspicio che non la scientifica
constatazione di un dato di fatto -, perché nello svolgimento di una partita
sarebbe davvero difficile avviare fasi di gioco offensivo rispettando questo
criterio organizzativo. Ma sappiamo altresì che, spesso, allorché lo sviluppo
del gioco lo consente o lo impone, alcune squadre si organizzano nella difesa
della propria porta con un numero maggiore di giocatori – a volte 10, a volte
addirittura tutti e 11.
Nel caso dell’esempio iniziale, dietro la linea della palla erano in 10 e, come
detto, un solo attaccante stazionava in zona centrale nel corridoio che separava
i due difensori. Bene, il problema che l’allenatore deve porsi è allora questo:
come disporre il proprio attaccante o i propri attaccanti nei casi in cui sta
subendo un’offensiva massiccia cui, gradualmente, partecipano attivamente o meno
sempre più giocatori avversari ? La soluzione che propongo concerne due
alternative.
Nel caso in cui siano due i giocatori cui è risparmiata la partecipazione alla
fase difensiva, riterrei opportuno che uno dei due prenda posizione arretrata
lungo la linea laterale dove è più probabile l’evento della transizione (dunque,
dalla parte dove la squadra avversaria sta attaccando), mentre l’altro prenda
posizione più avanzata (tre o quattro metri dietro la linea di centrocampo) e
più decentrata sulla fascia opposta. Ciò risponde a esigenze opposte in
alternativa: o la gestione in sicurezza del momento di transizione (passaggio
corto, tempo di uscita e di ridistribuzione nello spazio della squadra,
possibile corsa d’incontro del secondo attaccante e relativo scambio) o il lungo
lancio nello spazio vuoto per la corsa in diagonale dell’attaccante alle spalle
dei difensori.
Figura 5: Disposizione in fase difensiva con due giocatori “risparmiati” dai compiti di copertura, pronti per sfruttare un’eventuale transizione. |
Figura 6: Una volta riconquistata palla, il giocatore in possesso ha due soluzioni per poter sviluppare velocemente un’azione offensiva: l’appoggio all’attaccante più vicino o il lancio alla punta che si butta in profondità |
Nel caso in cui il giocatore sacrificato alla fase difensiva sia uno solo,
ritengo più opportuno che assuma posizione dalla parte opposta a quella in cui è
più probabile l’evento di transizione. Sarà comunque meno marcato – perché i
difensori privilegeranno il corridoio centrale – e potrà scegliere, a seconda
delle circostanze, se proporsi incontro al possessore di palla per permettere
alla squadra di risalire e riorganizzarsi nello spazio o dettare in diagonale un
passaggio lungo alle spalle dei difensori. Va da sé che, nel protrarsi del
possesso di palla della squadra avversaria e mutando il fronte di attacco,
l’assetto offensivo muti di conseguenza adattandosi al criterio esplicitato.
Figura 7: Disposizione in fase difensiva con un giocatore “risparmiato” dai compiti di copertura, pronti per sfruttare un’eventuale transizione. |
Figura 8: Una volta riconquistata palla, il giocatore in possesso può lanciare velocemente la punta che taglia dietro l’ultimo difensore avversario |
(Soluzioni grafiche di Vanni Sartini)